domenica 9 dicembre 2007

HA INNALZATO GLI UMILI

Mi scuso fin d 'ora per la lunghezza di questo post. Che però vi invito a leggere con attenzione.
Sabato 8 dicembre, dopo una breve agonia durata meno di una settimana, è morto un prete. Meglio è morto un prete - operaio. Uno di quei sacerdoti, cioè, che - spinti dall'entusiasmo riformatore di un Concilio Vaticano II oggi rimasto lettera morta - decise di vivere del proprio lavoro e di fare apostolato in parrocchie piccole, semplici. Di quelle cioè che non ti permetteranno di fare "carriera".
Era dunque un sacerdote che lavorava in fabbrica non come prete ma come operaio. E che come operaio viveva sulla propria pelle i drammi, le solitudini, le emarginazioni ma anche l'impegno sindacale e politico comune a tutti gli uomini. Non fu una scelta facile: al sacerdote in clergyman che dal pulpito parlava di cose avvertite lontane, distanti, questo gruppo di sacerdoti opponeva la tuta da lavoro, l'elemetto, i turni. Accanto a questo venne naturale maturare una scelta politica sempre a sostegno dei diseredati fossero i senza terra brasiliani o gli orfani della teologia della liberazione o le nuove forme di emarginazione sociale che nascevano e nascono anche adesso, anche qui da noi. Fu tra i fondatori di ESODO, un trimestrale di ricerca che si interroga sulla giustizia sociale, sulla fede. Un luogo davvero aperto che diventa occasione di incontro e di confronto tra credenti e non credenti alla ricerca di quei valori universali che accomunano ciascuno all'altro (fra i suoi collaboratori figura anche Massimo Cacciari).
Per illustrarne la figura ho scelto due fra i suoi scritti più illuminanti (il grassetto è mio).
Il primo è questo:

Un Giubileo scandaloso
Una presa di posizione dei preti operai del Veneto

Con crescente disagio assistiamo alla trasformazione del
Giubileo in un grande spettacolo, che rischia di tradirne il senso, e in un
grande affare che, anzichè essere occasione per annunciare ai poveri un lieto
messaggio (Lc 4, 18), diventa un lieto messaggio per gli operatori turistici,
gli impresari edili, gli albergatori, i negozianti e... i furbi.
Ci piacerebbe che emergesse un salutare dibattito fra i credenti, tale da
permettere all'evento giubilare di diventare la voce di una Chiesa che sempre
più si riconosce umile discepola del Maestro, in atteggiamento di vero servizio
nei confronti del "mondo" di cui pure è parte, nel bene e nel male. Per questo,
coscienti dei nostri limiti e delle nostre incoerenze, ma animati dal desiderio
di conversione e dalla responsabilità che condanna chi finge di non vedere (Mt
13,15), invitiamo al dialogo i fratelli nella fede, tentando alcuni spunti di
riflessione.
I poveri. L'annuncio dell'Anno di grazia, nelle parole stesse di
Gesù (Lc 4,18), reca la gioia ai poveri: ad essi, infatti, appartiene il regno
di Dio (Lc 6,20).
Si impone, crediamo, un serio ripensamento sulla povertà
evangelica a noi che viviamo, anche come comunità di credenti, all'interno della
società del benessere, e che ne abbiamo accolto le comodissime conseguenze. Ma
come può la Chiesa diventare annuncio di gioia per i poveri della terra se non
si fa loro compagna di strada scegliendo la povertà, sentendosi appagata nel dar
loro assistenza ?
Essa è ricca di strutture, di prestigio, di sicurezza
economica; gli stessi sacerdoti con lo stipendio garantito e l'otto per mille sono ben lontani dal "gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date".
C'è poi la povertà come scandalo (Gc 5,1-Û): chi ama i fratelli non può restare
indifferente di fronte alla sofferenza e alle tragedie che colpiscono interi popoli. La Chiesa non ha progetti politici da proporre, ma come non pensare che proprio il primo mondo, il mondo cristiano, promuove e sostiene una economia mondiale che arricchisce pochi e abbandona molti nella miseria totale?

I credenti, mentre nell'impegno nella politica sono chiamati a cercare risposte
globali di giustizia nel rispetto dei diritti di ogni singolo e di tutti i
popoli assieme a tutti gli uomini di buona volontà, singolarmente dovrebbero
ridimensionare drasticamente i consumi, seguendo una regola di vita povera
impostata sull'austerità.
Ricostruire la Chiesa. Francesco d'Assisi, in risposta alla pressante richiesta di restaurare la Chiesa corse a prendere mattoni e calce. Ma il Signore non parlava della chiesa di pietre, destinata a sparire (Mt 24,2), bensÏ di quella fatta di uomini e donne.
E' disorientante constatare il fervore con cui ci si appresta all'evento giubilare... restaurando le strutture. Non è questa l'occasione per ripensare la Chiesa in ordine al Regno di Dio? La Chiesa "giubilare" deve dare spazio alla Parola del Signore e
dello Spirito promesso ai discepoli da Gesù per guidarli alla verità tutta
intera (Gv 16,13). L'accentuazione dell'aspetto istituzionale mortifica il
primato della Parola e impedisce allo Spirito di ìinsegnare ogni cosa (Gv 14
26). Su questo versante i fratelli della Chiesa riformata ci hanno preceduto, e
prezioso poteva essere il loro contributo nel progettare il Giubileo del 2000: Ë
stato un errore non coinvolgerli, facendo riferimento al tema delle
indulgenze
Condono/perdono. L'aspetto biblico del Giubileo più accentuato
oggi è quello del condono, ma visto tutto dal punto di vista
spiritualistico/individuale. Si tratterebbe cioè di approfittare dell'Anno Santo per riconciliarsi con Dio. E questo, per la verità, è il cuore di tutto il discorso.
Ma se la conversione è solo interiore, si tradisce il concetto di
riconciliazione e si dimentica il significato del Giubileo che invita a
restituire le terre, a rimettere i debiti a riscattare le proprietà. Di fronte
al dramma del debito estero dei Paesi poveri della terra si impone una soluzione in linea con il condono e con il progetto di un piano economico basato sull'equità, la solidarietà internazionale, ma anche sulla programmazione di uno sviluppo sostenibile, che inevitabilmente mette sotto accusa i Paesi ricchi.

Giovanni Paolo II ha invitato gli Stati a prendere adeguate decisioni
e la Chiesa tutta a chiedere perdono per gli errori commessi.
Una Chiesa profetica sa leggere il presente, sa individuare gli errori del presente e non solo quelli del passato, sa riconciliarsi con gli esclusi di oggi e non solo con
quelli di ieri. A noi sembra un peccato la strenua difesa delle "cose"
cattoliche alternative allo Stato: la scuola, gli strumenti di comunicazione, la sanità, i consultori...

Il pellegrinaggio. Stiamo prendendo coscienza che il
vero pellegrinaggio è il seguire Gesù il Maestro come unico Signore, il farci
umili discepoli. Sarà il camminare sulle sue orme che aprirà l'altro versante
del pellegrinaggio: andare verso i fratelli più deboli, non da luogo a luogo, ma
da persona a persona. Ciò può e deve avvenire negli spazi della quotidianità:
perchè non affermare questo, dichiarando chiuso il turismo spirituale di massa
che crea equivoci ed intralcio ad una retta interpretazione dell'Anno
Santo?
Ad un altro drammatico pellegrinaggio, piuttosto, stiamo assistendo:
popoli interi si stanno spostando dai Paesi della fame e della guerra ai Paesi
ricchi, cercando disperatamente il diritto alla sopravvivenza. Come la Chiesa
può rendersi disponibile ad accogliere il Figlio dell'uomo nel forestiero? Quante strutture, case, edifici, patronati ormai vuoti potrebbero essere offerti per l'ospitalità, come forma di "restituzione"? Certo, ciò non porterà gli incassi previsti per l'alloggiamento ai pellegrini di passaggio verso Roma, ma impedirà di cadere nella condanna di Gesù a tutti coloro che praticano le opere buone per ottenerne un vantaggio: "hanno già ricevuto la loro ricompensa" (Mt 6,2). (da Adista, luglio '99)

Sergio Pellegrini, Gastone Pattenon, Giancarlo
Ruffato, Antonio Uderzo, Luciano Bano, Emilio Coslovi, Mario Faldani,Lidio
Foffano, Gianni Manziega,Luigi Meggiato
Giugno 1999


Comprendere che la Chiesa non è un monolite ma luogo in cui coscienze libere si confrontano, discutono e si indignano è una cosa fondamentale soprattutto in un momento come questo. Ecco un altro suo scritto, del 2002, nei confronti del governo Berlusconi:

Lettera aperta di preti del Veneto sulla politica
anticristiana del governo
"Il versante etico-sociale si propone come
dimensione imprescindibile della testimonianza cristiana: si deve respingere la
tentazione di una spiritualità intimistica e individualistica che mal si
comporrebbe con le esigenze della carità, oltre che con la logica
dell'incarnazione" (n. 51 di Novo millennio ineunte del 2001).
Incoraggiati da questo esplicito richiamo del papa e sollecitati da un tormentato clima
sociale che attraversa il Paese, noi sottoscritti, sacerdoti appartenenti alle
diocesi di Treviso e di Venezia, intendiamo esporre alcune riflessioni in merito
alla politica dell'attuale governo.
Secondo noi è una politica che incide pesantemente su alcuni nodi essenziali della vita democratica e chiama in causa la Chiesa perché faccia sentire la sua voce nel difendere i valori dell'etica civile che riguardano tutti gli uomini, al di là delle appartenenze confessionali o politiche.
La rilettura attenta di un importante documento dei vescovi italiani del 1991 (Educare alla legalità), si rivela di sconcertante attualità in un momento in cui, nello scenario politico nazionale, stanno affiorando grosse contraddizioni che rischiano di minare la pace sociale. Ci sono scelte governative che rendono sempre più anomala la situazione italiana, anche agli occhi dell'Europa: una giustizia a base di leggi fatte su misura del potente di turno; un'informazione televisiva di massa, sempre più omologata e in mano ad un'unica persona, che rischia di mettere in pericolo la libertà di pensiero; una scuola e una sanità pubblica in ottica aziendale e privatistica che creano discriminazioni tra gli utenti; una politica per l'immigrazione che schiera la marina di guerra contro barche fatiscenti cariche di persone
straniere ridotte allo stremo; una politica del lavoro che parla di libertà di licenziamento a piacere; la liberalizzazione incontrollata del commercio internazionale delle armi; la criminalizzazione di legittime forme democratiche di dissenso politico; l'ingiuriosa accusa al sindacato di contiguità con il terrorismo, ecc.
E’ una situazione che sta avvelenando il clima sociale e
politico. Rispetto a tale situazione, ci sembra che il mondo cattolico italiano,
pur con lodevoli eccezioni, nel complesso appaia latitante ed estraneo: dai
pastori ai cristiani, dalla stampa cattolica alle associazioni ecclesiali, dalla
pastorale parrocchiale all'azione dei movimenti religiosi, ecc. Alcuni giornali
si interrogano sul perché di questa sostanziale estraneità dei cattolici nei
confronti del vasto movimento di opinione pubblica che va crescendo nel Paese in
difesa di alcuni valori civili e di leggi che siano veramente uguali per
tutti.
Noi sacerdoti avvertiamo che nelle nostre comunità sempre più stanno
prendendo forma due atteggiamenti collettivi tra loro contrapposti. In una parte
della popolazione si assiste ad un modo di vivere improntato all'arroganza del
profitto selvaggio, ad un crescente impoverimento del concetto di "bene comune"
e ad un assopimento di valori etici che, fino ad un decennio fa, mobilitavano la
coscienza civile. Nello stesso tempo, proprio per le forti contraddizioni
derivanti dal pesante clima culturale e politico imperante, stanno diffusamente
affiorando disagi che portano a molteplici forme di protesta e
d'indignazione.
Come pastori fortemente interpellati da questi "segni dei
tempi", abbiamo il dovere di educare i cristiani all'ascolto e al discernimento
degli eventi, in forza proprio dei richiami magisteriali citati. Come cittadini,
siamo convinti di non dover stare alla finestra e guardare la realtà sociale da
persone assenti e disinteressate. Ci sono principi di etica civile sui quali
siamo chiamati a pronunciarci con un'attenzione non minore di quella riservata
ai principi della cosiddetta etica cattolica.
"Da ciò si vede come il
messaggio cristiano, lungi dal distogliere gli uomini dal compito di edificare
il mondo, lungi dall'incitarli a disinteressarsi del bene dei propri simili, li
impegna piuttosto a tutto ciò con obbligo ancora più stringente." (Concilio
Vaticano II, GS 34).
Sottoscriviamo questa nostra lettera in data 29 aprile
2002, festa liturgica di santa Caterina da Siena, proclamata Patrona d'Italia
nel 1939 e Dottore della Chiesa nel 1970. E’ una santa che, nel lontano e
turbolento XIV secolo, seppe coniugare una profonda spiritualità personale ad un
instancabile impegno ecclesiale e civile, a servizio della Chiesa e della
società del suo tempo.
Don Olivo Bolzon (Castelfranco Veneto), don Fervido
Cauzzo (Peseggia di Scorzè), don Sandro Dussin (Fanzolo di Vedelago), don Silvio
Favrin (Castelfranco Veneto), don Gianni Fazzini (Mestre), don Lidio Foffano
(Mestre), don Giuseppe Furlan (Castelfranco Veneto), don Guseppe Geremia
(Salgareda), don Elio Girotto (San Liberale di Marcon), don Gianni Manziega
(Mestre), don Luigi Meggiato (Mestre), don Claudio Miglioranza (Castelfranco
Veneto), don Umberto Miglioranza (Castelfranco Veneto), don Giorgio Morfin
(Mogliano Veneto), don Lorenzo Piran (Cavasagra di Vedelago), don Giorgio
Riccoboni (Treviso), don Giorgio Scatto (Marango di Caorle), don Enrico Tarta
(Cavallino Ve), don Luigi Trevisiol (Mestre), don Mario Vanin (Treviso), don
Antonio Viale (Vascondi Carbonera), don Piergiorgio Volpato
(Casier).
Treviso-Venezia, 29 aprile 2002
Questa è la Chiesa in cui credeva questo prete. Questa, e solo questa, è veramente anche la mia Chiesa. Senza stupide affissioni di crocefissi. Senza inutili richiami a pseudo radici giudaico-cristiane. Una Chiesa libera. Che innalzi gli umili, che scacci i potenti dai troni. Che disperda i superbi nei pensieri del loro cuore. Che ricolmi di beni gli affamati e rimandi i ricchi a mani vuote.
E' morto sabato 8 dicembre (Solennità dell'Immacolata Concezione) alle 13,20. Attorniato dai suoi fratelli, dalle sue sorelle e dai suoi tanti amici e nipoti. Fra questi ultimi c'ero anch'io. Si chiamava don Luigi Meggiato. Era mio zio
Che la forza sia con voi.

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